Tempi e contenuti dell’accordo firmato la scorsa settimana sui contratti del pubblico impiego impegnano «qualsiasi governo». Mentre si iniziano a smaltire i dibattiti sull’esito del voto e a chiarire le ricadute operative del cambio di inquilino a Palazzo Chigi, cresce l’allarme sindacale sull’ipotesi che si blocchi sul nascere il percorso appena delineato per arrivare al rinnovo del contratto con gli 85 euro di aumenti medi e la clausola «Robin Hood» che dovrebbe concentrare i ritocchi soprattutto sulle buste paga oggi più leggere. Per questa ragione ieri le tre sigle confederali hanno ribadito il valore generale dell’accordo, i cui contenuti non sono formalmente vincolati all’esistenza del governo caduto sul referendum. Sul piano politico e pratico, però, la partita è più complicata (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri). Al di là del grado di continuità, che si capirà solo nei prossimi giorni, fra l’esecutivo Renzi e quello che sostituirà, c’è il fatto che l’intesa può diventare operativa solo se il testo unico del pubblico impiego, attuativo della riforma Madia, arriverà al traguardo della prima approvazione entro la scadenza della delega fissata per febbraio. Lì, infatti, dovrebbe essere rivista la riforma Brunetta, con un cambio di regole per dare più flessibilità ai parametri di distribuzione dei premi di produttività e più voce in capitolo alla contrattazione. Impresa non semplice, che ha bisogno dell’intesa con gli enti territoriali.
Tra i dossier in bilico dopo il colpo dato dal «No» al governo Renzi c’è anche l’impianto della riforma della Pubblica amministrazione, fiaccata dalla sentenza 251/2016 della Consulta che impone l’intesa con regioni ed enti locali su una serie di materie. A essere incerte non sono solo le chance di arrivare al traguardo per i decreti attuativi ancora da approvare (primo fra tutti il testo unico del pubblico impiego, su cui si veda l’altra scheda in pagina), ma anche le possibilità di resistere dei decreti varati ma fiaccati dalla pronuncia costituzionale.
I temi a rischio sono tre, e riguardano le regole antiassenteismo, con la sospensione in 48 ore e il licenziamento in 30 giorni per chi viene colto in flagrante a timbrare l’entrata e disertare l’ufficio, la riforma che secondo gli slogan governativi avrebbe dovuto portare «da 8mila a mille» le partecipate e i nuovi sistemi di nomina dei dirigenti sanitari. I decreti, secondo la sentenza della Consulta, sono in vigore ma hanno bisogno di un correttivo che passi attraverso l’intesa con le amministrazioni territoriali. Obiettivo complicato non solo dal cambio di governo ma anche dal risultato referendario. Senza il correttivo, però, qualsiasi ricorso è in grado di far cadere i provvedimenti.
FONTE SOLE 24 ORE