Nel nostro ordinamento è previsto un dispositivo di tutela legale per gli appartenenti alle Forze dell’ordine e più in generale per i dipendenti delle Amministrazioni dello Stato che, per fatti inerenti al servizio, si trovino coinvolti in procedimenti giudiziari.
Detto dispositivo prevede anzitutto l’esercizio del diritto alla difesa, a mezzo del patrocinio gratuito prestato dall’Avvocatura dello Stato.
Tale possibilità riguarda la totalità dei pubblici dipendenti e trova la sua fonte nell’art. 44 r.d. 30 novembre 1933, n. 1611 (Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato), che prevede che “l’Avvocatura dello Stato assume la rappresentanza e la difesa degli impiegati e agenti delle Amministrazioni dello Stato… in giudizi penali, civili che li interessano per fatti e cause di servizio, qualora le amministrazioni, ne facciano richiesta e l’Avvocato Generale ne riconosca l’opportunità”;
Successivamente a beneficio dei soli appartenenti alle forze dell’ordine fu introdotto l’istituto del rimborso delle spese di difesa esercitata attraverso un libero professionista.
Tale previsione, limitata ai procedimenti a carico di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o dei militari in servizio di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio e relativi all’uso di armi o di altro mezzo di coazione fisica, fu introdotta nell’ordinamento dall’art. 32 della legge. 22 maggio 1975 n. 152, (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico), che prevede che “la difesa può essere assunta, a richiesta dell’interessato dall’Avvocatura dello Stato o da libero professionista di fiducia dell’interessato medesimo. In questo secondo caso le spese di difesa sono a carico del Ministero dell’interno salvo rivalsa se vi è responsabilità dell’imputato per fatto doloso. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano a favore di qualsiasi persona che, legalmente richiesta dall’appartenente alle Forze di polizia gli presta assistenza”;
Con l’art. 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire l’occupazione), convertito dalla l. 23 maggio 1997, n. 135, è stata prevista per tutti i dipendenti dello Stato la previsione del rimborso delle spese legali ai giudizi per responsabilità penale, civile o amministrativa promossi nei confronti dei dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o con provvedimento che escluda la loro responsabilità.
L’entrata in vigore di detta disposizione avente carattere generale ed applicabile a tutti i dipendenti dello Stato, mentre non ha inciso sulla vigenza dell’art. 32 della legge n. 152 del 1975, in quanto norma avente sicuro carattere di specialità, ha determinato l’abrogazione degli articoli 33 e 60 d.P.R. n. 395 del 1995, che, recependo accordi contrattuali, avevano esteso la tutela prevista dall’art. 32 della l. n. 152 del 1975 ai casi di procedimenti penali per fatti anche non commessi con l’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica. (cfr. parere n. 1054 del 11 Marzo 2011 reso in sede consultiva dal Consiglio di Stato Sezione I).
In pratica, sia l’art. 44 r.d. n. 1611 del 1933 che l’art. 18 l. 23 maggio 1997, n. 135, sono norme che non riguardano solo gli operatori di polizia, ma in generale tutti i pubblici dipendenti che risultano coinvolti in una vicenda di natura penale, civile o amministrativa, mentre l’art. 32 l. n. 152 del 1975, invece, è una fattispecie speciale, diretta ad un più ristretto numero di soggetti (ufficiali o agenti di p.s. o di polizia giudiziaria o militari in servizio di pubblica sicurezza) e riguarda tipologie ben precise di condotte, presupponendo necessariamente che il fatto debba essere commesso in servizio con l’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica.
Il preciso riferimento alle attribuzioni di Agente e Ufficiale di P.S. e di P.G. è condizione indefettibile per la concessione della tutela legale che non potrà essere concessa per quei fatti che, pur avvenuti durante il servizio, ed attinenti ai compiti istituzionali, concernono atti che si riferiscono ad attività che non sono espressamente di Pubblica Sicurezza o di Polizia Giudiziaria (come ad es. l’attività gestionale, amministrativa e burocratica) e, meno che mai, per atti posti in essere da appartenenti alla Polizia di Stato non quali Agenti ed Ufficiali di P.S. e di P.G. ma quali privati cittadini.
Il beneficio, consiste, dunque, nel risarcimento delle spese di difesa; sono pertanto escluse le altre spese, quali ad esempio le spese di giudizio, che rimangono a carico della parte in causa. La scelta può orientarsi su un solo difensore di fiducia e non su più liberi professionisti tali da formare un collegio di difesa.
Con il contratto di lavoro relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007, recepito e reso esecutivo dal D.P.R. 16 aprile 2009 nr. 51 è stata prevista (art. 21) l’estensione del beneficio anche a favore del coniuge e dei figli del dipendente deceduto, con la previsione che in mancanza del coniuge e dei figli del dipendente deceduto, si applicano le disposizioni in materia di successione.
Inoltre, con la stessa disposizione si prevede che agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria indagati o imputati per fatti inerenti al servizio, che intendono avvalersi di un libero professionista di fiducia, può essere anticipata, a richiesta dell’interessato, la somma di € 2.500,00 per le spese legali, salvo rivalsa se al termine del procedimento viene accertata la responsabilità del dipendente a titolo di dolo. Lo stesso importo può essere anticipato anche al personale convenuto in giudizi per responsabilità civile ed amministrativa salvo rivalsa ai sensi delle medesime norme.
Sono altresì ammesse al rimborso, nell’ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, le spese di difesa relative a procedimento penale concluso con la remissione di querela.
Per fruire del beneficio occorre inoltrare istanza al Dipartimento seguendo la via gerarchica secondo le disposizioni previste dalla circolare 333-A/9807.B.6 del 24 gennaio 2003.
La richiesta di rimborso, fermi restando i limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’articolo 18 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito con legge 23 maggio 1997, n. 135, ha efficacia fino alla decisione dell’Amministrazione.
Una eventuale determinazione negativa dell’Amministrazione non preclude la possibilità di avanzare un’altra istanza in presenza dell’emersione di fatti o elementi nuovi che possano far riconsiderare diversamente la stessa vicenda.
Per quel che concerne le modalità temporali della liquidazione delle spese legali questa può essere disposta anche prima del passaggio in giudicato della sentenza penale che definisce il processo per cui sorge l’esigenza di accollo delle spese legali, come è dimostrato dall’esistenza del diritto di rivalsa (che non avrebbe altrimenti senso alcuno se fosse possibile solo la liquidazione a consuntivo). In tal senso cfr. parere n. 1054 del 11 Marzo 2011 reso in sede consultiva dal Consiglio di Stato Sezione .I. Resta inteso che una volta liquidate le spese legali, non appare in sé e per sé rilevante l’esistenza, all’esito del processo penale, di un procedimento di destituzione ovvero l’irrogazione di una sanzione disciplinare, poiché la norma permette la rivalsa solo ove vi sia responsabilità dell’imputato – e quindi accertamento definitivo in sede penale – per fatto doloso (cfr. parere C. di S. 1054/2011).
In relazione alla questione della necessità di una convergenza di interessi con l’Amministrazione, ritenuto requisito non necessario dall’Avvocatura dello Stato nel proprio parere n. 303442 del 15 ottobre 2009 mentre l’Amministrazione si era orientata diversamente (circolare del 22 giugno 1996), il Consiglio di Stato con il parere n. 1054 del 11 Marzo 2011, reso in sede consultiva, ha avuto il pregio di chiarire che “ciò che sembra necessario verificare, in presenza di una richiesta di liquidazione dell’interessato rivoltosi ad un avvocato di fiducia, è, comunque, al di là del conflitto di interessi, rilevante per l’ammissione al beneficio, l’astratta configurabilità di una complessiva riconducibilità del comportamento del dipendente al servizio (non risultando altrimenti giustificata logicamente l’assunzione delle spese da parte dell’amministrazione), nel senso che la condotta tenuta appaia riconducibile a quella che può occorrere nell’ordinario svolgimento dell’azione di polizia giudiziaria o di sicurezza”.
Al riguardo, la Giurisprudenza ha ritenuto che, ai fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente (nella specie, un maresciallo aiutante), affinché sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l’attività di servizio del dipendente, è necessario che la suddetta attività sia tale da poterne imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza, poiché il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalità di svolgimento di una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull’Amministrazione, né è sufficiente che l’evento avvenga durante e in occasione della prestazione (Consiglio Stato, sez. III, 1 marzo 2010, n. 275).
Un ulteriore elemento da valutare ai fini del riconoscimento del beneficio è che l’imputazione riguardi fatti compiuti nell’adempimento di un dovere inerente ad una pubblica funzione, essendo necessario un nesso eziologico fra il detto fatto ed i doveri di servizio (compiti istituzionali).
Ciò significa che, ove l’amministrazione possa formulare un giudizio prognostico sull’esistenza di un fatto doloso ovvero ove sussistano altre situazioni devianti, imputabili al dipendente, valutabili ex ante, ciò precluda l’accollo o la liquidazione delle spese (va quindi ritenuta rilevante, prima della liquidazione, ad esempio, l’esistenza di procedimenti o provvedimenti disciplinari).
Per quel che concerne i casi di procedimenti penali conclusi con pronunce di improcedibilità per intervenuta prescrizione, giova evidenziare che, se da un lato l’erogazione del beneficio potrebbe essere concessa in tutti i casi in cui vada prescritta una imputazione colposa per fattispecie rientranti nell’utilizzo di armi o di altro mezzo di coazione fisica ex art. 32 l. n. 152 del 1975 (che, lo si rammenta, non consente il ristoro delle spese di difesa e prevede la rivalsa solo in caso di condanna per reato doloso), dall’altro non consentirebbe l’erogazione delle spese legali per prescrizioni di imputazioni non colpose relative all’utilizzo delle armi o di altro mezzo di coazione fisica e per tutte le fattispecie rientranti nella previsione dell’art. 18 l. n. 135 del 1997 (cfr. parere C. di S. . 1182/2009).
In ogni caso la declaratoria della prescrizione – fermo restando il principio dichiarato dalla Corte Costituzionale con sentenza 26 giugno 1991, n. 300, sulla prevalenza, ai sensi dell’art. 129, secondo comma, cod. proc. pen., delle formule assolutorie di merito su quelle dichiarative dell’estinzione del reato non sembra possa sempre precludere l’ammissibilità del ristoro delle spese legali.
In particolare, un’intervenuta prescrizione del reato in fase di appello a seguito di impugnazione di sentenza assolutoria di primo grado e, pertanto, un mancato accertamento dell’esclusione della responsabilità in una successiva fase di giudizio, non appare preclusiva per una valutazione della concessione del rimborso sulla base della motivazione del giudice di prime cure.
D’altronde, ammessa la rinunciabilità della prescrizione non si può certo pretendere che il dipendente si opponga alla stessa, con conseguenti ulteriori lungaggini processuali, soltanto perché in caso contrario non sarebbe consentito il rimborso delle spese di difesa.
La rimborsabilità delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente è un istituto eccezionale (cfr. Cons. Stato, V, 14 aprile 2000, n. 2242), con cui si deroga alla regola generale. Tale deroga è giustificata da ragioni essenzialmente equitative, consistenti nell’esigenza di assicurare gli oneri della difesa a chi, a causa del servizio svolto nell’interesse pubblico, è esposto a rischi collegati alle responsabilità dell’ufficio.
Trattandosi di istituto a carattere eccezionale resta esclusa la possibilità di un’interpretazione analogica, nel senso che le norme ricordate dall’Amministrazione sono di stretta interpretazione e non possono essere applicate “oltre i casi e i tempi in esse considerati”.
Per tale ragione il Consiglio di Stato sez. I, con parere n. 1182 del 6 Maggio 2009, ha escluso l’applicabilità del beneficio della rimborsabilità delle spese legali nel caso in cui, in secondo grado, quella sentenza sia stata riformata con il proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato. Non è quest’ultimo, infatti, un giudizio per responsabilità penale “concluso con sentenza o con provvedimento che escluda la responsabilità” del dipendente imputato, giacché la conclusione, vale a dire l’accertamento definitivo nel merito, è precluso dalla causa estintiva dell’illecito.
Questa considerazione vale anche se, come è recepito nella giurisprudenza penale, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per prescrizione del reato soltanto quando sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza o la prova positiva dell’innocenza dell’imputato (cfr. parere C. di S. . 1182/2009).