Il reato di resistenza a pubblico ufficiale è stato tipicizzato dal legislatore soltanto sotto il profilo teleologico, come volontà diretta a impedire la libertà d’azione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, di talché la minaccia o la violenza possono consistere in qualunque mezzo di coazione fisica o psichica diretto in modo idoneo e univocamente a raggiungere lo scopo di impedire, turbare, ostacolare l’atto di ufficio o di servizio intrapreso, ciò perché l’idoneità della minaccia va valutata con giudizio ex ante, a nulla rilevando il fatto che in concreto i destinatari non siano stati intimiditi e che il male minacciato non si sia realizzato. Così la sezione VI della Cassazione con la sentenza 30424/2019.
Nella fattispecie, l’imputato risultava avere cercato di ostacolare l’attività degli agenti, facendo intendere di essere in grado di arrecare loro problemi in sede giudiziaria, millantando di averlo già fatto contro altri agenti, quindi prospettando implicitamente la presentazione di una denuncia calunniosa: la Corte, nel rigettare il ricorso avverso la sentenza di condanna, ha ritenuto che anche una millanteria può costituire mezzo idoneo a turbare e ostacolare l’operato del pubblico ufficiale, per effetto della prospettazione di conseguenze pregiudizievoli attraverso la presentazione di un esposto calunnioso con l’implicito riferimento alla possibilità di creare problemi grazie alle proprie conoscenze influenti.
Sull’utilizzo della minaccia di iniziative legali quale mezzo idoneo a minacciare il pubblico ufficiale, cfr., peraltro, sezione VI, 20 dicembre 2011, Paolella, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 336 del Cp, l’idoneità della minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri di ufficio deve essere valutata ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e in particolare del tenore delle espressioni verbali e del contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se e in quale grado tale minaccia abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.
Ciò che deve escludersi in presenza della minaccia di un’iniziativa legale, che, come tale, non può ritenersi univocamente come espressiva della prospettazione di un male ingiusto, finalizzato a condizionare il pubblico ufficiale, ma semmai come manifestazione di un disappunto, finalizzata alla tutela dei propri diritti, attinenti alla sfera della libertà personale (da queste premesse, la Corte ha annullato con rinvio, per insussistenza del fatto, la condanna per il reato di cui all’articolo 336 del Cppronunciata nei confronti dell’imputato, al quale il reato era stato addebitato per il fatto che, nel corso di un controllo cui era stato sottoposto da una pattuglia della Polizia di Stato, aveva dichiarato agli operanti «che li avrebbe denunciati tutti, avendo a disposizione parecchi avvocati»).
Cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 10 luglio 2019 n. 30424
FONTE: articolo di di Giuseppe Amato – Sole 24 Ore