Il pubblico ufficiale che, autorizzato alla consultazione di dati in possesso della Pa, li acquisisca al di là delle finalità del suo ufficio commette il reato di abusivo accesso a un sistema informatico, in base alla previsione del secondo comma dell’articolo 615-ter del Codice penale? La quinta sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 12264/2017, depositata ieri, propende per la risposta affermativa al quesito.
Il contrasto di giurisprudenza
Infatti, la decisione rinvia alle sezioni Unite un contrasto di giurisprudenza su cui si erano già espresse nel 2012, ma propendendo per la soluzione oppposta. E, cioè che il pubblico ufficale o l’incaricato di pubblico servizio, che accedano a sistemi informatici per i quali sono autorizzati – ma per finalità diverse da quelle istituzionali – non siano comunque imputabili per il reato di accesso abusivo, ma solo per gli eventuali reati che commettano utilizzando i dati così acquisiti.
La soluzione proposta
Secondo la sentenza attuale di rinvio alle sezioni unite dall’orientamento espresso nel 2012 emergerebbero delle incongruenze come l’irrilevanza dell’abuso o sviamento di potere nella condotta di chi agisce al di fuori delle finalità di rilievo pubblico per cui è data l’autorizzazione. Non sarebbe cioè rilevante un accesso incongruente con la funzione pubblica affidata a meno che da tale accesso non derivino azioni che integrino una fattispecie di reato. Ciò che secondo l’attuale sentenza è inaccettabile sotto il profilo della rilevanza dell’interesse pubblico al buon andamento della pubblica amministrazione e della trasparenzae e imparzialità dell’azione amministrativa. Il reato contestato non richiede un dolo specifico è quindi sufficiente la coscienza di una consultazione non finalizzata allo svolgimento dei propri compiti istituzionali perchè si realizzi abuso o sviamento di potere.
Il caso concreto
Nel caso specifico il cancelliere di una procura riteneva di non essere imputabile in base all’articolo 615-ter del Codice penale, in quanto pienamente autorizzato ad accedere a tutti i procedimenti in essere contenuti nel registro delle notizie di reato. Il cancelliere, senza alcun ordine del proprio superiore, accedeva ai dati riguardanti una persona di propria conoscenza e lo informava dell’esistenza di un procedimento a suo carico. L’imputata, ora ricorrente per cassazione, si difendeva affermando in primis che, dagli atti di causa, era emerso che il terzo «favorito» dalla condotta del pubblico ufficiale non era venuto a conoscenza dell’indagine nei suoi confronti dall’imputata, ma già precedentemente per altra fonte. Ma i giudici – che hanno rinviato alle sezioni Unite – da ciò non hanno dedotto il venir meno del dolo generico e hanno sottolineato come il comportamento del cancelliere fosse in sé una violazione del rapporto di fiducia che lega l’amministrazione al pubblico ufficiale, in base anche alle prescrizioni dell’articolo 97 della Costituzione.
Ordinananza di Cassazione sez unite – accesso abusivo ai sistemi informatici
FONTE SOLE 24 ORE