Alla luce delle puntualizzazioni fornite dalle sezioni Unite (sentenza 24 novembre 2015, Ventrice), la “quasi flagranza” legittimante l’arresto da parte della polizia giudiziaria è configurabile tutte le volte in cui sia possibile stabilire un particolare “nesso” tra il soggetto e il reato che, pur superando l’immediata individuazione dell’arrestato sul luogo del reato, permetta comunque la riconduzione della persona all’illecito sulla base della continuità del controllo, anche indiretto, eseguito da coloro i quali si pongano al suo inseguimento. Lo ricorda la Cassazione con la sentenza n. 39 del 2018.
Tale condizione si può configurare nei casi in cui l’arresto avvenga in esito a inseguimento, ancorché protratto ma effettuato senza perdere il contatto percettivo anche indiretto con il fuggitivo, o nel caso di rinvenimento sulla persona dell’arrestato di cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima; ma non si può configurare nelle ipotesi nelle quali l’arresto avvenga in seguito a un’attività di investigazione, sia pure di breve durata, attraverso la quale la polizia giudiziaria raccolga elementi (dalla vittima, da terzi o anche autonomamente) valutati i quali ritenga di individuare il soggetto da arrestare, il quale beninteso non sia trovato con cose che lo colleghino univocamente al reato e non presenti sulla persona segni inequivoci riconducibili alla commissione del reato da parte del medesimo.
La sentenza richiama i principi indicati dalle sezioni Unite, con la sentenza 24 novembre 2015 Ventrice, secondo cui in tema di arresto da parte della polizia giudiziaria, lo stato di “quasi flagranza” non sussiste nell’ipotesi in cui l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte della vittima o di terzi, dovendosi in tal caso escludere che gli organi di polizia giudiziaria abbiano avuto diretta percezione del reato.
La nozione di “inseguimento”, caratterizzata dal requisito cronologico dell’”immediatezza” (“subito dopo il reato”), postula, quindi, la necessità della diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli operanti della polizia giudiziaria procedenti all’arresto: l’attribuzione dell’eccezionale potere di privare della libertà una persona si spiega proprio in ragione di tale situazione idonea a suffragare la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza (da queste premesse, la Corte ha rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso il provvedimento del giudice che aveva escluso la quasi flagranza, in una vicenda in cui la polizia giudiziaria aveva proceduto all’arresto per il reato di lesioni personali aggravate dall’uso di un coltello dopo alcune ore dalla commissione del reato ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese dalla vittima e dalle persone informate dei fatti nonché degli esiti obiettivi delle lesioni rilevati sul corpo della persona offesa: in una situazione in cui, quindi, secondo le sezioni Unite, non poteva ricorrere l’ipotesi dell’”inseguimento” inteso nei termini di cui sopra).
Da questi principi, la Corte ha rigettato il ricorso del Procuratore della Repubblica proposto avverso l’ordinanza di non convalida dell’arresto, per difetto della flagranza, resa in una fattispecie in cui il giudicante aveva motivato la propria decisione evidenziando l’assenza della “quasi flagranza” in ragione del fatto che la polizia giudiziaria era pervenuta all’identificazione del responsabile del furto in un esercizio commerciale solo tramite le indicazioni di un testimone oculare (che aveva notato l’arrestato disfarsi della refurtiva) e le dichiarazioni della responsabile del centro commerciale quanto alla provenienza delittuosa della refurtiva. Era mancato, quindi, il “nesso” tra il soggetto e il reato necessario per giustificare la legittimità dell’arresto.
Corte di cassazione – Sezione IV penale – Sentenza 2 gennaio 2018 n. 39
FONTE SOLE 24 ORE