Meglio non scherzare con l’accesso facile alla banca dati del Viminale relativa alle informazioni di polizia. Il rischio è di collezionare una serie di reati tra cui l’accesso abusivo ad un sistema informativo qualificato e la violazione del segreto d’ufficio. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sez. V penale, con la sentenza n. 8911 del 4 marzo 2021.
Un operatore della guardia di finanza ha utilizzato in maniera maldestra il sistema informativo a disposizione delle forze di polizia ricavando abusivamente informazioni per conto di un amico indagato. Contro la conseguente condanna per accesso abusivo aggravato alla banca dati del Viminale e rilevazione del segreto d’ufficio l’interessato ha proposto censure fino ai giudici del palazzaccio ma senza successo.
L’art. 615-ter c.p. punisce la condotta di colui che pur essendo abilitato acceda ad un sistema informativo protetto violando le prescrizioni imposte dal titolare del trattamento. L’accesso con la password di servizio non può essere effettuato per motivi personali. Si tratta di un ingresso illegale all’interno della banca dati ripetuto per ben nove volte, specifica il collegio.
Ma nel comportamento tenuto dall’agente infedele è anche implicito il reato di rilevazione del segreto d’ufficio previsto dall’art. 326 c.p. (Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 4 febbraio 2021) 4 marzo 2021, n. 8911). FONTE LEGGI D’ITALIA
SEGRETERIA NAZIONALE