In un contesto di ripetute sopraffazioni da parte del marito, quando i «rapporti sessuali ordinari» tra i coniugi siano ormai cessati da tempo, il reato di violenza sessuale può scattare anche in assenza una opposizione palese da parte della donna, bastando un «rifiuto implicito». Lo ha stabilito laCorte di cassazione, sentenza 39865/2015 , rigettando il ricorso di un uomo.
La vicenda – I giudici di Piazza Cavour confermano dunque tutte le accuse, compresi i maltrattamenti in famiglia, ai danni di un uomo di 35 anni più volte querelato per lesioni dalla moglie nel corso di diversi anni. E partendo dal livello «profondamente deteriorato» del rapporto coniugale, con la moglie sottoposta «ad ogni tipo di angherie», la Cassazione ha ritenuto «pienamente logica» l’argomentazione della Corte di Appello secondo cui l’episodio di violenza «doveva considerarsi vero (e non semplicemente verosimile)» proprio perché «fatto isolato sotto il profilo temporale» e dunque sganciato «da una relazione sessuale ordinata o se si vuole, discontinua, ma pur sempre presente nella vita di coppia».
La motivazione – L’articolo 143 del codice civile , ricorda la Suprema corte, prevede che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri», e che dal matrimonio «deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglie e alla coabitazione». Per cui «è da escludere che sussista un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali inteso come mero sfogo all’istinto sessuale contro la volontà del partner». Tanto più, aggiungono i giudici, se tali rapporti avvengano «in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e/o violenze che costituiscono l’opposto rispetto al sentimento di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazioni» (n. 36962/2007).
Del resto, prosegue la sentenza, per il reato di violenza sessuale «è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione senza che rilevi in contrario l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti». E ciò in quanto il rapporto coniugale «non degrada la persona del coniuge a mero oggetto di possesso dell’altro coniuge con la conseguenza che laddove l’atto sessuale venga compiuto quale mera manifestazione di possesso del corpo, esso acquista rilevanza penale». (n. 14789/2004)
Non basta, dunque, ad escludere il reato la circostanza che la donna «non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito al compimento di atti sessuali» (n. 16292/2006).
Così, conclude la Cassazione, sebbene la libertà sessuale vada intesa come libertà di espressione e di autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona, e dunque inviolabile, è del pari innegabile che tale libertà non è indisponibile, «occorrendo pur sempre una forma di collaborazione reciproca tra soggetti che vengono in relazione (sessuale) tra loro».
Cassazione_39865 – violenza sessuale
FONTE IL SOLE 24 ORE