Dopo le modifiche introdotte dal Dlgs 36/2018 sulle condizioni di procedibilità per alcuni reati, per perseguire l’autore di una minaccia grave serve la querela di parte. A meno che la minaccia in questione non sia stata fatta a “mano armata” o da più persone.
La Corte di cassazione, con la sentenza 3520, annulla senza rinvio il verdetto con il quale la Corte d’Appello aveva annullato la decisione del primo giudice di scegliere la via della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ritenendo che i fatti contesati non potessero ricadere nel raggio d’azione dell’articolo 131-bis del Codice penale. La Cassazione prende innanzitutto atto delle modifiche apportate dal Dlgs del 2018, direttamente applicabili in nome del principio genarle del favor rei sul quale è basato il sistema penale. La norma – in attuazione della delega prevista dalla cosiddetta riforma Orlando che ha rivisto il codice penale e di rito – impone, in caso di reato di minaccia grave, (articolo 612, comma 2 del Codice penale) la condizione della querela, salvo che questo sia stato commesso nelle ipotesi aggravate (articolo 339 del Codice penale).
Nello specifico le persone offese, informate della possibilità di presentare una “domanda punitiva”, non avevano esercitato la facoltà. I giudici devono quindi annullare. Ma lo fanno non prima di aver rilevato che la minaccia era stata commessa da più persone riunite. Circostanza non richiamata nel capo di imputazione, neppure attraverso un riferimento all’articolo 339. Per la Cassazione l’ipotesi sarebbe fuori dal semplice concorso nel reato (articolo 110 del Codice penale). Una “svista” dei giudici di merito alla quale non si può più rimediare con il rinvio perché nel frattempo il reato è prescritto
Corte di cassazione – Sezione VI – Sentenza 24 gennaio 2018 n.3520
FONTE SOLE 24 ORE