In presenza di tatuaggio «sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme», la mera presenza di esso sulla cute non è di per sé sufficiente ai fini dell’esclusione automatica dal concorso, essendo invece necessario che il tatuaggio, per estensione, gravità o sede, determini una rilevante alterazione fisiognomica, idonea a compromettere il decoro della persona e dell’uniforme. È quanto afferma la IV Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6640/2019.
L’approfondimento
Il Consiglio di Stato è intervenuto sui profili di legittimità dell’esclusione di una concorrente dal concorso per posti di agente della Polizia di Stato, per la presenza di alcuni tatuaggi sugli arti superiori, non coperti dall’uniforme estiva.
La decisione
Nell’accogliere l’appello del Ministero dell’interno, il Collegio ha avuto modo di rilevare come la presenza del tatuaggio sia sempre causa di esclusione, qualora esso, quale che ne sia l’entità o il soggetto rappresentato, sia collocato “nelle parti del corpo non coperte dall’uniforme”, dovendosi, a tal fine, fare riferimento a tutti i tipi di uniforme utilizzate e/o utilizzabili nell’ambito del servizio.
Per il Collegio, infatti, l’amministrazione non è titolare di alcuna discrezionalità, non dovendo procedere ad alcuna valutazione, dovendo bensì solo prendere atto degli esiti di un mero accertamento tecnico sulla copertura o meno del tatuaggio da parte delle divise; trattandosi di un mero accertamento tecnico, esula da ciò ogni valutazione del nocumento all’immagine dell’amministrazione o al decoro della divisa.
Nel diverso caso di tatuaggio su parti del corpo coperte dall’uniforme, invece, l’Amministrazione è tenuta, ai fini dell’esclusione per la presenza di un tatuaggio, a valutare, e conseguentemente a motivare in tal senso, la “rilevanza” dell’alterazione acquisita della cute e l’idoneità di essa a compromettere il decoro della persona e dell’uniforme.
In particolare, il tatuaggio può diventare causa di esclusione – ancorché non collocato in “parti visibili” – allorché esso venga considerato “deturpante” per sede e natura, ovvero “indice di personalità abnorme” in virtù del suo “contenuto”. In questa ipotesi, l’esclusione dunque non è vincolata quale conseguenza dell’esito di un accertamento tecnico, ma essa rappresenta l’eventuale misura adottata all’esito di una valutazione che costituisce esercizio di discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione e che – salvo i limiti rappresentati dalla sussistenza dei vizi di difetto di motivazione ovvero di eccesso di potere per illogicità e/o irragionevolezza – non è sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità.
Pertanto, in presenza di tatuaggio “sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme”, la mera presenza di esso sulla cute non sarebbe di per sé sufficiente ai fini dell’esclusione dal concorso, essendo invece necessario che il tatuaggio, per estensione, gravità o sede, determini una rilevante alterazione fisiognomica, idonea a compromettere il decoro della persona e dell’uniforme.
Conclusioni
Alla luce di queste premesse, ne deriva che il giudizio di esclusione deve essere congruamente motivato in ordine alla “visibilità” del tatuaggio: la motivazione deve riguardare non solo l’ubicazione del tatuaggio, in termini pertanto di potenziale individuabilità, ma anche la sua effettiva consistenza.
IV Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6640/2019
Articolo di Guido Befani, SOLE 24 Ore