La Corte di cassazione sdogana a tutti gli effetti l’uso della Pec per le notifiche penali. E lo fa dando una lettura estensiva delle disposizioni contenute nel decreto «Cresci Italia». Con la sentenza n. 16622 depositata ieri, infatti, i giudici hanno considerato legittima la notifica effettuata all’imputato attraverso invio alla casella di posta certificata del difensore. Si tratta del caso disciplinato dall’articolo 161 comma 4 del Codice di procedura penale e che la difesa aveva ritenuto, contestando il giudizio della Corte d’appello, non potesse essere fatto rientrare tra quelli che autorizzano all’utilizzo della Pec.
I fatti però. Il decreto di citazione per la prima udienza di secondo grado era oggetto di una prima omessa notifica perché l’imputato risultava essersi trasferito dall’indirizzo indicato. A questo punto la Corte d’appello opera la notifica del decreto attraverso posta elettronica certificata al difensore di fiducia. Successivamente, a poche ore di distanza, i carabinieri operavano comunque una notifica nelle mani dell’imputato.
Una situazione che per i giudici di appello era assolutamente legittima, ma che la difesa contestava sottolineando come la circolare del ministero della Giustizia dell’11 dicembre 2014 identifica i soggetti che possono essere destinatari della notifica attraverso Pec: si tratta di tutti coloro che prendono parte a un processo penale e che non assumono la qualità di imputato (i difensori, le persone offese, le parti civili, i responsabili civili, i civilmente obbligati per la pena pecuniaria, gli amministratori giudiziari, i consulenti delle parti, i periti).
La circolare richiama poi il decreto «Cresci Italia», nel quale, all’articolo 16 comma 4, si ammette la possibilità di utilizzare la Pec per l’invio di notificazioni a persona diversa dall’imputato con riferimento agli articoli 148, comma 2, 149, 150, 151, comma 2 del Codice di procedura penale. Un elenco che la difesa considera tassativo e che esclude l’articolo 161 comma 4.
Per la Cassazione però la linea corretta è quella Corte d’appello e, avvalorandola, mette in evidenza come, sulla base dell’articolo 148, comma 2 bis, del Codice di procedura penale, l’autorità giudiziaria può sempre disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei, con l’unico onere a carico dell’ufficio che invia l’atto di attestare di avere trasmesso il testo originale. La stessa disposizione del «Cresci Italia» va letta in questa prospettiva e sottrae all’invio via Pec (ma evidentemente ciò vale anche per strumenti analoghi come il fax) la notifica da effettuare direttamente alla persona fisica dell’imputato.
Tuttavia la notifica prevista dall’articolo 161 comma 4 viene eseguita attraverso consegna al difensore, sia pure nell’interesse dell’imputato. «Si tratta, infatti – osserva la Cassazione – di una norma di chiusura che intende perfezionare il meccanismo legale di notifica in quei casi in cui l’imputato prima abbia eletto o dichiarato domicilio e poi si sia reso non reperibile allo stesso, senza comunicarne alcun mutamento».
Una soluzione diversa, sottolinea la sentenza, sarebbe illogica, visto che condurrebbe a ritenere che il difensore, al medesimo indirizzo di posta elettronica, può ricevere notificazioni per sé, ma non potrebbe invece accettare notificazioni all’imputato che pure è previsto dalla norma che possono essere effettuate attraverso consegna a lui. Tanto più poi, conclude la Cassazione, che la Pec offre le stesse certezze della raccomandata per quanto riguarda l’identificazione del mittente e la stessa Corte ha legittimato il suo utilizzo anche in assenza dei decreti del ministero della Giustizia, destinati a disciplinarne l’utilizzo.
Cassazione 16622-2016 notifiche penali
FONTE SOLE 24 ORE